Se lo fai tu, lo faccio anch’io. Persuasione: la riprova sociale.

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Pubblicato il 30 Maggio 2017

Persuadere attraverso la riprova sociale.

Inizierò con un esempio: quante volte ti è capitato di entrare in un negozio (o di avvicinarti incuriosito alla vetrina) perché hai visto parecchia gente all’interno?
Mai? Mhm… Proviamo con un altro.
Quante volte hai pensato che un prodotto fosse meglio di un altro solo perché è stato acquistato da più persone?

Eh no, qui non mi freghi. È uno di quei principi su cui si basa la politica delle recensioni, di cui fanno uso colossi come Amazon, Trip Advisor, Google… E noi ci siamo in mezzo!

Ah, me ne è venuto in mente un altro.
Le lunghe code in attesa davanti ai locali non ti fanno pensare che qualcosa di interessante dovrà pur esserci là dentro?
Questa nostra tendenza a scegliere il più scelto è frutto di uno dei principi della persuasione individuati da Robert Cialdini. Dopo reciprocità, coerenza, autorità, scarsità e simpatia, oggi scriverò di riprova sociale.

Una risata tira l’altra.

L’inventore della Laff Box è Charles Rolland Douglas. Cos’è il Laff Box? È il contenitore delle risate e degli applausi finti che ascoltiamo in molti programmi e serie TV. È utilizzato soprattutto per mantenere un ritmo di risate adeguato nei teatri, ma soprattutto nella televisione, dove i tempi sono severamente definiti (insomma, per ridere sempre allo stesso modo, allo stesso livello, così da accontentare tutti e senza influenzare l’andamento delle battute degli attori).

Cosa c’entrano le risate finte con il principio della riprova sociale? Risponde Cialdini nel suo libro Le armi della persuasione:

Vari esperimenti dimostrano che l’uso di risate preregistrate induce spettatori e ascoltatori a ridere più spesso e più a lungo […] non solo, alcuni dati indicano che l’effetto suggestivo è massimo quando le battute sono di pessima lega. […] L’inserimento di risate fasulle nella colonna sonora stimola la risposta desiderata del pubblico a programmi che vogliono essere spiritosi e divertenti, soprattutto quando non riescono a esserlo”.

Una ricerca, condotta da tre università australiane e pubblicata dal Journal of Experimental Social Psychology, ha dimostrato che ridiamo di più se lo fanno le persone intorno a noi.

Un’altra ricerca afferma quanto siamo influenzati dai sorrisi genuini: “Adaptive Responses to Social Exclusion, Social Rejection Improves Detection of Real and Fake Smiles”.

Il principio della riprova sociale.

Quello delle risate è uno stimolo artificiale, ma il comportamento che teniamo noi, spesso senza accorgercene, è naturale. Per giudicare se una cosa è giusta o sbagliata, più buona o meno buona, di alta o bassa qualità, nella maggior parte dei casi ci affidiamo al giudizio degli altri, o meglio, a quello della maggioranza.
Togliamoci dalla testa originalità, stravaganza, unicità: qui stiamo parlando di un comportamento quotidiano, quando andiamo a fare la spesa o quando dobbiamo scegliere il ristorante dove cenare.

Una possibile giustificazione di questo nostro atteggiamento è la nostra innata pigrizia e l’evidenza sociale ci appare come un’ottima scorciatoia. Ma come tutte le scorciatoie, anche questa può nascondere delle insidie: ad esempio, i marketer sono sempre in agguato per approfittare delle nostre debolezze e conquistarci con le loro tecniche persuasive.

Se lo fai tu, lo faccio anch’io.

È interessante una ricerca condotta da Wesley Schultz (“The Constructive, Destructive, and Reconstructive Power of Social Norms”) e citata nel libro 50 segreti della scienza della persuasione.

I ricercatori hanno analizzato il consumo di energia di 300 case, appendendo all’esterno un cartello che ne indicava il consumo nei dettagli. C’è chi superava la media e chi consumava meno energia. Dopo l’esposizione dei dati, chi era sopra la soglia ha abbassato il livello di consumo (del 5,7%), chi era sotto lo ha alzato (dell’8,6%). Niente male, eh?

“Questi risultati mostrano che il comportamento medio agisce come una sorta di magnete, il che significa che chi si allontana dalla media tende a esserne attratto e cambia comportamento per allinearsi alla norma, indipendentemente dalla maggiore desiderabilità o indesiderabilità sociale del proprio comportamento precedente.”

“Sei di Parma se…”: l’appartenenza a una comunità.

Ascolta e guarda questo spot sul prosciutto di Parma.

Far parte di un gruppo di persone: anche questo elemento identifica la nostra tendenza a seguire gli altri, che sia per un’opinione, un comportamento o uno stile.

E pensare che viviamo ogni giorno il senso di appartenenza e il riconoscersi in qualcosa di condiviso. Acquistiamo un prodotto perché sposiamo la politica aziendale (ad esempio gli articoli equo-solidali), vestiamo lo stile del marchio (ad esempio la Nike), apparteniamo a una categoria definita (vedi Apple) e così via. Qual è il denominatore comune di questi esempi? Percorrere una strada segnata da altri.
E non è solo conformismo: riconoscersi in un gruppo presuppone la nostra scelta, la nostra approvazione, perché siamo consapevoli che quella strada vogliamo davvero percorrerla.
Il come ci siamo arrivati a sceglierla è un’altra storia.

Come fare per far pagare le tasse puntualmente?

Nel libro Piccole grandi idee: la scienza della persuasione per ottenere massimi risultati con minimi cambiamenti ho letto di come una piccola variazione in un messaggio abbia portato i contribuenti a essere puntuali nel pagamento delle tasse. I funzionari dell’erario inglese (HMRC) si rivolsero alla società Influence At Work e questa ha aumentato la percentuale di compensazione dal 57% all’86%. Come? Le lettere hanno informato i contribuenti che “un gran numero di cittadini paga puntualmente le tasse al governo”.

“Ciò significa che il nostro comportamento è ampiamente plasmato da quello che ci circonda, soprattutto dagli individui con cui ci identifichiamo maggiormente. […] (ma, attenzione) la strategia di evidenziare quante persone adottano comportamenti desiderabili non sarà del tutto vincente se il modello che intendiamo inculcare non è già applicato dalla maggioranza. (Dunque) uno dei piccoli grandi cambiamenti che i comunicatori possono adottare è assicurarsi che il loro messaggio sia adeguatamente allineato all’identità sociale del gruppo cui si riferiscono.”

Quando funziona il principio della riprova sociale?

Tendiamo a seguire le decisioni degli altri quando non sappiamo prenderle noi. La nostra incertezza, infatti, spesso ci rende vulnerabili all’evidenza sociale e alla sua influenza.

Ma c’è anche un altro elemento che influisce sulla nostra mente: la somiglianza.
Robert Cialdini afferma che la massima efficacia di questo principio si manifesta quando osserviamo il comportamento di persone simili a noi.

Guarda questo spot.

“Se loro ti ascoltano, perché non lo fai anche tu?”, questo è l’headline scelto da Amplifon. E non è solo il fattore emozionale (rappresentato dai bimbi con i nonni) a coinvolgere lo spettatore. Chi guarda lo spot e ha difficoltà uditive, si sentirà simile ai protagonisti e più invogliato a scegliere la soluzione proposta. Come hanno fatto loro.

Lo stesso concetto è espresso qui:

Quanto mi piace questo spot! Funziona sempre.
Qui non occorrono linee guida per trovare il concetto di similitudine come riprova sociale, giusto?

Un consiglio a chi vuole sfruttare il principio della riprova sociale nel marketing.

Premessa fondamentale su cui basare questo principio di persuasione e per farlo funzionare nel marketing è che i dati devono essere reali.
Mi spiego: l’affermazione “100 persone l’hanno già provato e hanno ottenuto risultati eccellenti!” deve essere vera, altrimenti il trucco potrebbe venire scoperto e perderesti la tua credibilità.

Come provare la tua affermazione? Aggiungi testimonianze di tuoi clienti (le recensioni, infatti, funzionano benissimo), dati statistici frutto di analisi di mercato e altri elementi che possano confermare quello che dici.

E tu come utilizzi questo principio della persuasione? Scrivici nei commenti!

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