A volte mi capita, durante le mie attività SEO, che uno dei clienti mi scriva su Skype (o mi telefoni) per comunicare di “un crollo improvviso” per qualche parola chiave che stiamo monitorando: se si tratta di una persona pratica nel settore, come in un caso recente in cui ho la fortuna di trovarmi – non scelgo questa parola a caso, credetemi – nessun problema. Basta spiegare che, in generale, una diminuzione di rank su Google può essere un churn: si tratta quindi di “scossoni” di natura casuale, dovuti essenzialmente ad un “rumore di fondo” quasi impossibile da eliminare, e questo nonostante le ripetute segnalazioni di webspam ed una link building sempre più attenta e curata. Se nel frattempo avete già iniziato a sudare freddo, colgo l’occasione per ricordare una cosa importante: il lavoro di un SEO è tipicamente spalmato in un periodo temporale anche piuttosto lungo, e soprattutto crea delle basi che possono “stare in piedi” da sole solo dopo qualche tempo. È bene quindi, in pratica, darsi una bella calmata tutti, e non solo per via del caldo.
Questa idea – quella del churn – viene espressa in modo chiaro, ed in più articoli, all’interno di SEO Theory, riassunto in modo piuttosto simpatico (oltre che più onesto della media, a mio parere) con l’espressione “shit happens“. Della serie: per quanto un SEO lavori bene presto o tardi può capitare un crollo improvviso, anche se il cliente più smaliziato e con meno esperienza potrebbe lecitamente pensare di essere stato preso in giro.
Calma: diciamo che, per quella che è la mia esperienza in questi anni, questi temuti “cali” si verificano per via del continuo processo di reindicizzazione (e di re-ranking) dei vari siti contenuti all’interno delle SERP. Se fissiamo l’attenzione su una certa parola chiave, in linea di massima più essa è competitiva – in un senso del tutto generale – maggiore sarà il tasso di variabilità dei risultati di ricerca. Questo può ripercuotersi anche a danno del sito del nostro cliente, che nella peggiore delle ipotesi si sarà fatto prendere un colpo nello scoprire che è precipitato in settima pagina, giusto mentre si stava godendo la prima.
Azione 1: verificare la corrispondenza tra query di ricerca e pagina/e destinazione
Il vero punto è: abbiamo informato la clientela dei limiti e delle reali pertinenze delle nostre attività? Per caso vi siete fatti pubblicità con la famigerata “prima posizione garantita”? Qualcuno forse pensa seriamente che siamo in contatto diretto con Google, magari via telefono, ma non è affatto così: scopo di un’attività SEO è semmai quello di tenere sotto controllo i rank, chiaramente, e prendere eventuali provvedimenti se qualcosa va male. Esiste pero’ almeno un livello che neanche il SEO più in gamba, smaliziato e pratico può controllare. Ma cosa fare se ci capita una cosa del genere? Molti problemi derivano, come ho detto anche nel webinar di qualche tempo fa, dal fatto che non esiste pertinenza tra la query e la pagina: per accorgersene in prima istanza, basta andare ad effettuare la ricerca all’interno del sito (come ho descritto in questo breve articolo sugli operatori di Google, complementare per i nostri scopi):
chiave site:miosito.com
Il primo risultato di ricerca che uscirà fuori è quasi certamente candidato ad essere la pagina “legata” con massima pertinenza alla ricerca in esame: se questa pagina è sbagliata, o fuori bersaglio, è ovvio che le possibilità di essere tagliati fuori dalle prime posizioni si massimizzano. Per fare in modo di migliorare la pertinenza della pagina in questione dobbiamo anzitutto individuare questa pagina: non è banale farlo, in molti casi dovremo eleggere il nostro candidato alla prima posizione a nostro arbitrio, basandoci su quale pagina “risponde meglio” alla richiesta del cliente, minimizzando il livello di forzatura dell’operazione. La “bravura” di un professionista si misura anche, per non dire soprattutto, dal saper dare una risposta sensata e motivata a questa domanda.
Azione 2: provare a modificare il title
Una volta individuata la pagina destinazione corretta – dopo aver “aggiustato il tiro” con qualche backlink sensato verso quella pagina, ad esempio – può essere utile interrogarsi sulla pertinenza del title rispetto alla pagina: non è detto pero’ che questa azione vada fatta per forza, ma – con un po’ di esperienza – spesso anche una piccola modifica può essere davvero efficace. Vi invito solo a non ragionare in termini troppo grossolani (“inserisco la chiave di ricerca nel titolo“) perchè il title serve sempre a far capire al visitatore che cos’è la pagina, ed a fornirvi valore aggiunto – la query di ricerca il “cercatore” la conosce già, non vi pare? Dopo qualche tempo andremo a verificare la situazione in termini di rank, avendo cura di continuare le nostre attività in modo costante e senza eccessivi calcoli, soprattutto senza farci condizionare da churn che, a lungo andare, potrebbero rivelarsi del tutto fallaci come nel caso mostrato in figura.
Poichè mi è capitato di leggere considerazioni piuttosto scomposte sull’utilità della SEO, che secondo alcuni accademici dell’Università Tuttologica sarebbe nientemeno che una piaga sociale da eliminare, è bene che specifichi che se questa pagina non dovesse trovarsi, è possibile che la query di ricerca non sia adatta. È anche possibile che non ci siano i presupposti di fattibilità: anche se al cliente piace da impazzire la chiave di ricerca “ricette” oppure l’immancabile “porno gratis“, ad esempio, se manca la pertinenza con le pagine del suo sito non c’è granchè su cui lavorare. Anche se è tipico di questi anni convulsi, e soprattutto caotici, eleggere a capro espiatorio l’attività di ottimizzazione dei motori di ricerca, in molti casi il problema reale sono ad esempio i web writer improvvisati, che inseriscono allegramente un rumore di fondo nei risultati di ricerca che, a lungo andare, può disturbare qualsiasi attività di posizionamento o di assestamento. E dire che, quando hanno iniziato ad “operare” in questo settore, avevano letto che fosse così comodo guadagnare con Google Adsense comodamente da casa…