Occhio all’errore

vocabolario arancione da cui saltano fuori parole e immagini variopinte
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Pubblicato il 8 Febbraio 2012

vocabolario arancione da cui saltano fuori parole e immagini variopinteLa scrittura on line non prescinde dall’ortografia e dalle regole base della grammatica italiana. I motori di ricerca, lo abbiamo già detto, premiano testi Seo friendly purché corretti e fluidi. Perciò, se scriviamo per il Web, prima ancora di curare la formattazione, dobbiamo evitare di incappare negli errori d’ortografia.

Il consiglio è di tenere sempre a portata di mano un buon dizionario d’italiano e una grammatica per soddisfare, in qualsiasi momento, dubbi ed incertezze. Questo articolo non si propone di passare in rassegna la miriade di regole che fondano la nostra amata lingua, bensì di stanare le sviste ortografiche più comuni e che, in ogni caso, condizionano la ricercabilità di un testo.

Questione di  accenti

Nell’italiano corrente esistono due forme grafiche e fonetiche di accento: grave (è) e acuto (é). La regola generale è che le vocali a, i, o, u vogliono sempre l’accento grave. Al contrario la e prende l’accento acuto. Ma non si tratta di un dogma assoluto. Esistono parecchie eccezioni, perciò sarà meglio concentrarci sulla giusta grafia delle parole più usate.

Dovremo sempre segnare l’accento su:

dà     (verbo dare)

lì là     (avverbi di luogo)

sé     (pronome)

né     (e non, congiunzione negativa, né male né bene)

sì       (affermazione)

sì       (abbreviazione di così)

più

perché, poiché

bensì, così,

giù, quaggiù, laggiù

già

ciò

caffè

cioè

Al contrario, non dovremo mai segnare l’accento su:

da                (preposizione)

li                  (pronome)

ne                (avverbio e pronome)

qui, qua        (avverbi)

su                (avverbio)

si                 (pronome impersonale)

no                (negazione)

se                (congiunzione)

te                (pronome)

fa                (avverbio)

blu               (colore)

E sui verbi

egli fa

io so, egli sa

io do

egli va

io sto, egli sta

Spesso, poi, utilizziamo l’apostrofo al posto dell’accento. Un tipico esempio è la terza persona singolare del verbo essere

E’ stato lui a dirmi di andare                                     errato

È stato lui a dirmi di andare                                      corretto.

Tra i “dilemmi” dell’accentazione troneggia, poi, il se. Sé (pronome) è da accentare, mentre l’omografo se (congiunzione) non va mai accentato.

E se stesso?

Sfatiamo che scrivere sé stesso sia un errore. In realtà anche la forma accentata è corretta. È una prassi consolidata  che ci spinge a non segnare l’accento sul pronome. La questione, comunque, contrariamente da quello che ci dicono a scuola, è dibattuta. L’Accedemia della Crusca consiglia di usare la forma non accentata ma di non considerare errore l’altra.

Questione di apostrofi

Un po’, invece, richiede l’apostrofo e non l’accento.

Ci sono parole che richiedono sempre l’apostrofo:

da’ − dai  (imperativo del verbo dare)

fa’ − fai  (imperativo del verbo fare)

sta’ −stai (imperativo del verbo stare)

va’ − vai (imperativo del verbo andare)

po’ − poco

mo’ − modo

qual è    senza apostrofo, qual è una forma distinta da quale

be’ − bene

Vale la pena, dopo questa carrellata di esempi ortografici, soffermarci almeno sulle due regole grammaticali di base.

  1. L’accento tonico andrà segnato tutte le volte in cui ci sia il rischio di un’ambiguità di senso nel corpo della frase, come ad esempio con verbo e da preposizione semplice.
  2.  L’apostrofo, invece, si usa per indicare un’elisione, cioè la caduta di una vocale finale o di una sillaba. È il caso di un po’ che richiede l’apostrofo per l’elisione della sillaba co

Con o senza la i?

Un altro errore ortografico abbastanza diffuso in rete è l’errata collocazione della i nel corpo della sillaba ce

Scriveremmo:

sufficiente

coscienza

conoscenza

scienza

superficie

province

efficienza

La regola grammaticale di riferimento è che se c o g sono precedute da vocale (es. micia, ligia) al plurale mantengono la i (es. micie, ligie). Se, invece, c’è una consonante a precederle (es. lercia, goccia, pioggia), allora al plurale la i scompare (es. lerce, gocce, piogge). Alcune eccezioni contemplano entrambe le forme (ciliegia, ciliegie-ciliege o provincia, province-provincie), sebbene la regola aiuti a fare chiarezza.

I verbi con la radice in gn (accompagnare, segnare, sognare) si scrivono con la i

nella 1a persona plurale dell’indicativo, noi sogniamo

nella 1a e 2a persona plurale del congiuntivo presente, che noi sogniamo, che voi sogniate

Attenzione alla z

Le parole che terminano in –àzia, -azìa, -èzia, -ezìa, -ìzia, -ìzie, -izìa, -ozìa, -uzìa, -ziòne, -àzio, -èzio, -ìzio, -òzio, -ùzio richiedono sempre una sola z.

Non vi resta che passare al setaccio i vostri testi e… Buon lavoro!

 

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