Marketing virale: ideavirus, tipping point e i 6 principi

Immagine originale tratta da Fotolia
Tempo stimato di lettura: 7 minuti, 32 secondi
Pubblicato il 4 Febbraio 2014
in: - 8 commenti

L’ennesimo post sul marketing virale. Lo so, sono stati consumati miliardi di tasti su questo argomento. Ma dopo il discorso iniziato parlando delle digital PR è doveroso toccare anche questo punto.

Sono passati più di 5 anni, eppure, nel mondo del digital marketing (e non solo) si continua a parlare (vuoi o non vuoi) di una cosa: il marketing virale (è vero, non solo di questo: anche di “content is the king”). Capita sempre (o quanto meno molto ma molto spesso) che durante i nostri brief, il cliente o l’account di turno ci chieda sempre (o quasi):

E possibilmente a costo zero. Perché le idee non costano niente. O no?

Credo davvero che la parola virale, insieme a tutte le sue declinazioni – marketing virale, contenuto virale, video virale, eccetera, eccetera eccettera – sia una delle più inflazionate (e spesso usate anche a sproposito).

Io ho una formazione classica e per me le cose vanno studiate dalle basi. Quindi, quello che bisogna chiedersi prima di tutto è: cosa vuol dire veramente fare marketing virale e soprattutto come si fa?
Facciamo un salto indietro. Oggi tutti abbiamo un account di posta di Gmail. Big G tra poco gestirà la nostra lavatrice e anche la lavastoviglie. Ma questa è un’altra storia, non divaghiamo… Vi ricordate quando, nemmeno tanto tempo fa, tutti avevamo il nostro indirizzo di email su Hotmail?

Siamo nel lontano 1997. Jack Smith e Sabeer Bhatia – ideatori e CEO di Hotmail – adottarono un modo tanto semplice quanto geniale per far conoscere e “diffondere” il loro servizio: inserirono in calce ad ogni e-mail inviata tramite il loro servizio di provider email gratuito un messaggio e un link che ricitava:

“Get your free e-mail account at www.hotmail.com”.

In pratica, ogni volta che partiva una email da una casella di posta Hotmail lo scrivente automaticamente (e per lo più inconsapevolmente) consigliava al ricevente di iscriversi gratuitamente al nuovo servizio di posta elettronica proposto da Hotmail. In pratica il messaggio che faceva circolare era questo “Ehy, io sto usando questo nuovo account email, mi trovo molto bene. Provalo anche tu!”.
Quale fu il risultato? In meno di due anni Hotmail ebbe 12 milioni di utenti. E tutto questo avendo speso meno di 500mila dollari (cliente, parlo con te: qualcosa l’hanno spesa, capito?). Una catena di Sant’Antonio, in pratica, a costo abbastanza contenuto, soprattutto se si pensa ai ristultati che si sono raggiunti.

Bene questo è il primo esempio di ideavirus.

#Ideavirus

La parola ideavirus fu coniata da Seth Godin (uno dei miei guru preferiti). Il buon vecchio Godin spiega che un’idea – proprio come una malattia, un virus – può essere contagiosa  e quindi può trasmettersi da persona in persona attraverso un semplice contatto. Inconsapevolmente e involontariamente, in modo naturale.

Un’ideavirus è un’idea affascinante che si propaga attraverso una parte della popolazione, cambiando e influenzando chiunque incontri.

Quindi va da sé che il marketing virale ha il fine di creare qualcosa (sia esso un prodotto, un marchio, un servizio, un contenuto video, ecc.) che contenga in essere la propensione a diffondersi spontaneamente tra la gente proprio come farebbe un virus.
Ed oggi come oggi questo meccanismo di contagio appare sempre più congeniale alla logica della rete. Infatti grazie ai social siamo sempre più connessi l’uno all’altro. E più si è interconnessi, più la propagazione virale diventa rapida. Ed qui che si vuole arrivare: che un contenuto si diffonda rapidamente e diventi virale.

Ora spieghiamo una cosa: non è che tutte le campagne di viral marketing sono destinate a funzionare. Alcune riescono meglio di altre. E tra quelle riuscite si sono estrapolati dei punti comuni che ne facevano un caso vincente di viral marketing.

Nel 2000 Ralph F. Wilson, un consulente di e-commerce, mise a punto i 6 principi di base – oggi conosciuti come i 6 principi di Viral Marketing di Wilson – che deve possedere una strategia di viral marketing per funzionare.

E cioè deve:

  1. Proporre prodotti o servizi gratuiti
  2. Essere facilmente condivisibile
  3. Utilizzare i sistemi di comunicazione già esistenti
  4. Sfruttare motivazioni e comportamenti comuni
  5. Deve essere facilmente scalabile
  6. Trarre vantaggio dalle risorse degli

Ma detti così, vogliono dire tutto e niente. Diamo un’occhiata più da vicino e vediamo cosa si intende.

1. Prodotti o servizi gratuiti

Per chi fa marketing, gratis è la parolina magica. Regalare prodotti o servizi di valore costituisce l’elemento chiave della maggior parte dei piani di mkt virale. Per fare marketing virale bisogna avere molta, ma molta pazienza: non si deve avere fretta di raggiungere guadagni immediati, piuttosto bisogna praticare l’arte delle gratificazioni successive. Infatti se si può generare una rete di interesse per qualcosa che oggi è gratis, prima o poi si raccoglieranno i frutti. E questi saranno anche duraturi. Il gratis attira l’attenzione e l’attenzione, una volta catturata, può facilmente spostarsi su altri prodotti o servizi che noi proponiamo a pagamento. Un esempio è WhatsApp, una app di messaggistica per smartphone che permette di scambiarsi messaggi e file audio, video o immagini coi propri contatti senza dover pagare gli SMS.  L’app prevede (per tutti i possessori di Android, Blackberry o Windows phone) un periodo di prova di un anno a partire dall’installazione: successivamente c’è un canone annuo di 89 centesimi. Gli iPhone user invece devono versare la quota di 1 € una tantum al primo download. E ovviamente, questa politica ha suscitato accese proteste soprattutto da parte di utenti non Apple. Ma non divaghiamo…

2. Essere facilmente condivisibile

I virus si diffondono quando riescono a trasmettersi facilmente. Dal punto di vista del marketing, il messaggio – affinché sia facilmente trasmissibile e senza distorsioni – deve essere il più semplificato possibile.
Proprio per questo, i mezzi che dovranno trasmettere il messaggio devono essere facili da condividere. E è per quuesto che il viral marketing funziona sulla rete perché la comunicazione è semplice, istantanea, rapida e non costosa.

3. Utilizzare i sistemi di comunicazione già esistenti

La stragrande maggioranza della gente vive di socialità. Ogni individuo fa parte di una piccola rete (network ristretto) composta da 8 a 12 persone fra parenti, amici e gruppi. Però è anche vero che esiste anche un altro tipo di network esteso composto da centinaia, se non migliaia di contatti. Questa rete estesa di contatti dipende per lo più dal ruolo che l’individuo ricompre nella società. Per esempio, un impiegato di banca può comunicare ogni giorno con decine di clienti. Un eremita, nessuno.

4. Sfruttare tensioni e comportamenti comuni

I piani di Marketing VIrale ingegnosi sfruttano le comuni tensioni emotive. Il desiderio è ciò che guida la gente.  Il desidero di comunicare qualcosa ha prodotto milioni di siti web e miliardi di email e di conversazioni. Individuando una tensione emotiva, un nervo scoperto che fa scaturire comportamenti comuni si costruisce una strategia vincente. Sono le emozioni che guidano la gente. A questo proposito consiglio la lettura del testo Create! di Mirko Pallera, dedicato al marketing virale e a come progettare idee contagiose. Un libro illuminante nella sua semplicità.

5. Deve essere facilmente scalabile

Per propagarsi come una malattia, l’oggetto del viral marketing deve essere condiviso facilmente sia da quelli tecnologicamente avazati e che da quelli che ancora non hanno familiarità con la tecnologia. Se il virus uccide l’ospite prima che questo l’abbia trasmesso, la pandemia non si verifica. In questo senso deve essere scalabile.

6. Trarre vantaggio dalle risorse altrui

Le strategie più creative, per agevolarne la propagazione, sfruttano le risorse delle persone con le quali il messaggio entra in contatto. Per fare un esempio i webwriter che condividono gratuitamente i loro articoli lo fanno nella speranza di avere delle citazioni, di essere linkati in altri siti o di essere condivisi nei social network o menzionati in discorsi, forum di settore o all’interno di gruppi specifici, ecc. perché così la visibilità di questi altri ambienti virtuali  in parte verrà destinata a divulgare il  messaggio.

#Tipping point

Scopo primario di una campagna di viral mkt è ottenere con un budget relativamente ridotto (ma non inesistente, attenzione! Io lo ripeto, non si sa mai!) alcuni sensibili cambiamenti nel comportamento di acquisto, facendo leva sulle reti di influenza tra consumatori.
Detto così sembra un gioco da ragazzi. Non lo è affatto.
Prima che il contenuto diventi virale, bisogna raggiungere il cosidetto tipping point, vale a dire il punto di esplosione del virus, cioè il momento in cui quel contenuto espode e comincia contagiare grandi masse di persone, grandi abbastanza perché il contenuto, il brand, il prodotto, si diffonda in maniera spontanea e autonoma.

Sta proprio qui la chiave di volta per una buona e giusta progettazione di una campagna di marketing virale, nel capire come è possibile raggiungere questo fatidico tipping point, cioè il momento il cui il contenuto farà il suo lavoro da solo. O quasi.

Come raggiungere il tipping point?

Si può ottenere principalmente in tre modi:

  1. scegliendo influencer efficaci
  2. creando un messaggio virale che sia sticky (appiccicoso)
  3. attraverso una strategia di seeding

Come vedi, progettare un’ideavirus che sia contagiosa e che si diffonda in maniera pandemica è tutt’altro che un gioco da ragazzi. Bisogna considerare diversi fattori e curare alcuni aspetti fondamentali.
E di sicuro non è qualcosa che fornisce risultati immediati. La pazienza è il segreto.

Shares