Come segnalare lo spam a Google

Tempo stimato di lettura: 6 minuti, 59 secondi
Pubblicato il 14 Maggio 2013

Il tuo sito è penalizzato? Non riesci ad uscire fuori nei risultati di Google come ti aspetteresti? Sei più lontano dalla prima pagina di quanto non fosse Frodo dal Monte Fato all’inizio de “Il signore degli anelli”? Potresti essere stato spammato a tua insaputa, ed in questo articolo vedremo come sia possibile accorgersi della cosa e prendere eventuali provvedimenti.

Da piccoli usavano ripeterci che fare la spia non è bello: e questo, certamente, si potrebbe riflettere anche nelle nostre comuni attività lavorative. Del resto “non fare agli altri ciò che non vorresti facessero a te” rimane una massima applicabile un po’ in tutti i contesti della nostra vita, al fine di vivere, nei limiti del possibile, in modo sereno e quanto più possibile coerente. Eppure molte persone non sono a conoscenza di questo livello di correttezza, e – come accade nella vita reale – molto spesso operano “tarocchi” di vario genere per avere dei vantaggi alle nostre spalle. In queste situazioni, rifendoci all’ambito SEO, è d’obbligo preventivare un qualche tipo di reazione, che non si riduca al consueto “lavorare comunque a testa bassa”: in questo articolo, dunque, vorrei mettere in chiaro tutte le possibili azioni che sono ammesse per segnalare a Google le eventuali anomalie che ci capita di vedere, spesso impotenti, durante le nostre attività quotidiane.

Cosa (e quando) segnalare?

C’è  da fare una piccola premessa: bisognerebbe segnalare soltanto su fondato sospetto (ad esempio report di SEOPanel) di aver subito un danno, in termini di ranking, sul proprio sito. Possiamo vedere la lista aggiornata dei backlink in ingresso al nostro sito mediante il Webmaster Tools, ed utilizzare Google per sfogliare i risultati e renderci conto di quello che eventualmente non va. Una tecnica che utilizzo usualmente, ad esempio, consiste nel cercare la stessa chiave su più di un motore di ricerca: mi è capitato, ad esempio, di apparire in prima pagina per una stessa ricerca “X” su Bing e non su Google, e questo mi ha fatto sospettare – con un certo grado di probabilità, s’intende – che potessi aver subito una qualche penalizzazione da quest’ultimo.

Di sicuro i link in ingresso sono (anche) un potenziale flagello, non fosse altro che non sono sempre controllabili da noi e spesso, nella pratica, finiscono per fare più danni che altro. A quanto risulta le tecniche black hat classiche, tipo i link nascosti mediante CSS, vengono automaticamente ignorati dal crawler di Google,  per cui non c’è ragione di preoccuparsi troppo in merito. Quello che ci interessa, invece, è rilevare i backlink acquisiti che potrebbero limitare la capacità di crescita del nostro sito, e questo avviene di solito mediante due possibilità alternative:

  • una penalizzazione automatica modello Panda, Penguin e via dicendo, che opera quindi su scala globale;
  • una penalizzazione manuale, eseguita mediante un misto di algoritmi e quality rating, che solitamente – come avviene nel caso precedente, quasi sempre – ci viene segnalata mediante email.

Un singolare caso di cat-spam

L’altro giorno – sono in vena di raccontarla come fosse una storiella, ma è tutto vero – mi è capitato, durante la link analisys che effettuo settimanalmente per la mia azienda, di trovare una pagina spam decisamente singolare. Sto parlando dell’ ”hosting gatto”, un nuovo esclusivo “servizio” su cui non ho avuto neanche la forza di ironizzare, e che ho mostrato ai miei colleghi con l’aria del tifoso accanito di fronte all’ennesima sconfitta della propria squadra. Un misto di tristezza, rassegnazione ed un tantino di rabbia per come il nostro lavoro possa essere davvero abbassato di livello, in certi casi.

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Il provider felino in questione, che riporto nell’immagine allegata per chi non ci credesse, era un articoletto rigorosamente anonimo  (ho anche trovato l’anagrafica del proprietario del dominio, ma lasciamo perdere) utilizzato per spammare la chiave di ricerca “dominio” (evidenziata in figura), con tanto di link verso l’azienda per cui lavoro. Verrebbe da ridere, insomma, se non venisse da piangere: in questi casi il meglio che puoi fare è segnalare il link mediante disavow, soluzione drastica ed efficace, come abbiamo avuto modo di discutere su Webhouse qualche tempo fa (si veda anche qui).

Come segnalare le pagine di bassa qualità

Ricordo che, tanto per fissare le idee, in caso trovaste una pagina web anomala o di bassa qualità con qualche link che punta al vostro sito indebitamente, potete sfruttare uno dei seguenti tool di rimozione:

  • per disabilitare l’influenza sul ranking di un set di backlink sospetti fate uso, come ho appena scritto, del disavow; tenete conto, pero’, che è obbligatorio raggruppare tutte le segnalazioni in un’unico file, che mediamente sto aggiornando ogni due-tre mesi.
  • per notificare una sospetta compravendita di link il modulo, invece, è questo;
  • per segnalare webspam (come nel caso in questione), quindi pagine senza senso contenenti link al vostro sito, dovete sfruttare questo form;
  • se il contenuto fosse inappropriato o diffamatorio potete invece ricorrere a questo link;
  • se la pagina contiene informazioni riservate o viola la privacy lo segnalate invece da qui;
  • se la pagina tenta un phishing dal vostro sito di e-commerce andate qui;
  • se la pagina è infetta da malware (e magari l’avete trovata perchè cita il vostro brand) dovreste utilizzare questo modulo di segnalazione;
  • per le violazioni di diritto d’autore avete a disposizione la pagina di segnalazione di violazione del copyright;
  • per problemi di altra natura (siete un po’ sfortunati, in questo caso) potete infine contattare Google per problemi di tipo differente dai precedenti.

Premesso che riceverete conferma dell’avvenuta ricezione della segnalazione e che, solitamente, ci vogliono almeno un paio di settimane perchè la cosa sia eventualmente presa in considerazione, in genere è facile comprendere quale modulo di segnalazione debba essere utilizzato.

Un esempio: la compra-vendita di link

Una persona potrebbe a questo punto chiedere, lecitamente: come fare a capire se un link in ingresso è stato comprato? Non esiste un modo sicuro di provarlo, ma potete basarvi su una serie di indizi che, se messi insieme, potrebbero formare una vera e propria prova. Si tenga conto comunque che Google non potrà mai sapere con certezza quando (e se) due webmaster si siano messi d’accordo per piazzare un link “strategico” che, invece, potrebbe essere stato messo semplicemente a casaccio (si vedano, ad esempio, diversi blogroll). Visto che le attività SEO non devono ridursi alla caccia spasmodica di backlink utili da qualsiasi luogo, dunque, è bene tenere presente che questo genere di attività di “purificazione” modello “Ghostbusters” (o link-busters, se preferite) che fa parte, per quanto sia poco comune parlarne, di una strategia SEO fatta come si deve, non fosse altro che questo genere di problemi sono spesso il vero motivo per cui non riusciamo a migliorare i nostri ranking.

Di solito se vi ritrovate dei link in ingresso provenienti dal footer di un sito malevolo, oppure all’interno un widget non contestualizzato (a maggior ragione se l’ancora testuale corrisponde con una chiave di ricerca) è plausibile che si tratti di un paid link. Chiaramente sarà improbabile riuscire a reperire una fattura o una prova concreta dell’avvenuta compra-vendita, è chiaro che in questo contesto stiamo ragionando maliziosamente per cui, a mio avviso, dipende solo dallo scenario in cui vi trovate oltre che, naturalmente, dal vostro livello di tolleranza: personalmente dopo i gatti che stanno acciambellati (presumibilmente) sui rack degli hosting provider la mia soglia è ai minimi storici, e posso garantirvi che nell’ultimo mese ho inviato oltre 100 segnalazioni di spam, senza contare l’utilizzo del disavow che all’ultimo aggiornamento contava la bellezza di 400 (e passa) link sospetti, tra siti interamente dedicati ad assurdità varie e pagine singole (molto spesso da siti Blogger, che in casi estremi vengono comunque rimossi in automatico da Google). Quello che farete voi, ovviamente, molto dipende dallo scenario in cui lavorate, dal livello della vostra concorrenza, dal numero di contenuti di qualità che avete immerso nell’indice di Google e via dicendo: gli strumenti segnalati in alto sono a nostra disposizione e non dovrebbero essere sottovalutati.

Chiudo l’articolo con un piccolo messaggio auto-promozionale: nei prossimi giorni affronterò a voce parte di questi argomenti (e della SEO più in generale) da un punto di vista poco tecnico e piuttosto comprensibile, durante un webinar gratuito proposto con la collaborazione degli amici Davide e Beatrice di Webhouse. Avrò modo di parlare, nonostante gli argomenti trattati siano noti ai più, di “qualcosa di completamente diverso” – …qualcuno coglierà l’immancabile citazione cinematografica! – nel senso di affrontare il topic da una prospettiva, se possibile, differente dall’approccio straight che ci viene propinato da più parti. Sarà un’occasione di confronto e discussione che vi invito a non perdere, per cui … restate sintonizzati!

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